martedì 29 marzo 2016

L'IMPRINTING


Il giardino e la dimora:

Non appena saputa la richiesta ero stata presa da un momento di incertezza. Cercavo di ricordare un luogo che conoscessi a menadito e che avrei potuto raccontare con accuratezza ma nulla,solo la casa dei miei nonni che tutto poteva essere tranne che un luogo pieno di fascino …
Ed ecco che chiama mio cugino per augurarmi buon compleanno! E in quel momento mi sono accorta che nel bene o nel male un luogo c’era ,un luogo che conoscevo attraverso tutti i miei sensi.
La scala su cui mi fece cadere più di una volta i cui gradini mi sono ben noti,il primo racconto di paura nel parco dei mostri e gli scherzi notturni che non sono mai mancati. Mi era finalmente chiaro il posto che mi aveva sempre affascinato e un po’ spaventato: la casa di famiglia a Bomarzo rinominata da mia zia per gli eventi “il Giardino e la Dimora”.

Meta di quasi tutte le festività, sebbene si trovi a un’ora di macchina dalla mia casa, l’ho sempre immaginata come un luogo estremamente lontano, lontano dai rumori ,dalla gente estranea ,dalla frenesia del quotidiano.
Mi aveva sempre affascinato il susseguirsi di spazi prima stretti e poi a predita d’occhio fin dal viaggio.
La mattina presto,tutti belli carichi di provviste, i miei genitori ed io montavamo in macchina per uscire della chiassosa e trafficata città. Per circa un’ora guardavo il panorama verde,sebbene intervallato da obbrobri dell’era moderna,e mi sembrava subito di essere in vacanza.
Non appena leggevo il cartello con scritto “Bomarzo” mi riempivo di gioia,sebbene l’entrata nel paese sia piuttosto angusta .Ancora mi chiedo come facciano le macchine a passarvici. Dopo qualche gincana ecco che si riapriva un grande viale davanti a me e il verde che si estendeva per tutta la vallata. Uno dei divertimenti principali di mia zia è quello di cambiare sempre i colori delle piante che accompagnano l’entrata alla casa,ogni volta una sorpresa.









Arrivata,certo un po’ di ansia c’era nell’immaginare i miei simpatici cugini spaventarmi nel lungo corridoio delle camere da letto o nel bosco o essere rincorsa e buttata in piscina o essere chiusa nel salone superiore. Ma posso dire anche di avergli dato più volte filo da torcere.

Molto spesso capitava a e i mei cugini di andare in cerca di qualcosa,non si sapeva bene cosa, l’importante era che facesse paura. Scendevamo giù per la vallata e ,contro le ovvie raccomandazioni dei nostri genitori, entravamo nella piccola cappella diroccata a prendere pietruzze e schifezze varie. 



Innumerevoli sono le volte in cui ci sedavamo intorno all’obelisco che eravamo fermamente convinti essere tomba e dimora di qualche essere poiché, intorno ad esso, non mancavano massi con diverse incisioni.




Chiamati per il pranzo trovavamo sempre un tavolo lunghissimo pieno di cibo poiché doveva bastare per una ventina di persone almeno.Il freddo non è mai mancato poiché riscaldare quella che un tempo erano le scuderie trasformate in una casa non è cosa facile.Seduti a tavola potevamo comunque vedere il paesaggio circostante dai due grandiportoni vetrati che sono alla fine dei saloni.









Appena terminato il pranzo, correvamo al piano superiore in cui si trova un altro salone, diventato lo studio e ripostiglio dei nostri nonni, che trascorrevano lì la giornata ,intrattenendosi con qualche schizzo del panorama fuori la grande finestra. Tuttora, quando ci torno, mi diverto a rovistare e ad immaginare mio nonno e mio zio guardarci dalla finestra. Impiegavamo molto tempo a rovistare in quello che era diventato una sorta di magazzino e, stanchi, ci portavamo in stanza i nostri ritrovamenti o ci mettevamo per terra davanti ad uno dei camini.

Solo ora mi rendo conto che la scelta di prendere architettura non fu così improvvisa come mi ostinavo a credere.
 Capitava il più delle volte che io rubassi schizzi, dipinti, piante, fotografie o documenti che mio nonno lasciava incustoditi nel salone.
 Ero, forse anche oggi, una bambina che metteva le mani ovunque.

Posso dire che questo momento di riflessione mi ha fatto capire quanto l’architettura sia qualcosa che si può profondamente conoscere solo attraverso i sensi e mai a livello teorico.
Toccare, tastare  guardare da vicino, rigirarsi o sentire l’odore delle pareti: questi sono gli unici metodi conoscitivi che permettono la vera acquisizione di un’immagine che si imprime attraverso i sensi.

Non mi è stato difficile ritrovare, in alcuni miei schizzi e progetti, note comuni al luogo del mio imprinting:

-L'alternarsi di spazi, prima stretti e poi subito ampi



-Diversi livelli di imposta del progetto

-Collegamenti naturali 

-Percorsi panoramici



-Integrazione e collegamento diretto dell'edificio con il resto della città

-Capacità di dare spazio ed accogliere persone di ogni età

-Verde naturale concepito come oasi di ritrovo tra le attività locali


-La differenziazione delle funzioni abitative e lavorative attraverso differenti quote

-Percorsi identificati da molteplici colorazioni