Non appena
saputa la richiesta ero stata presa da un momento di incertezza. Cercavo di
ricordare un luogo che conoscessi a menadito e che avrei potuto raccontare con
accuratezza ma nulla,solo la casa dei miei nonni che tutto poteva essere tranne
che un luogo pieno di fascino …
Ed ecco che
chiama mio cugino per augurarmi buon compleanno! E in quel momento mi sono
accorta che nel bene o nel male un luogo c’era ,un luogo che conoscevo
attraverso tutti i miei sensi.
La scala su cui
mi fece cadere più di una volta i cui gradini mi sono ben noti,il primo
racconto di paura nel parco dei mostri e gli scherzi notturni che non sono mai
mancati. Mi era finalmente chiaro il posto che mi aveva sempre affascinato e un
po’ spaventato: la casa di famiglia a Bomarzo rinominata da mia zia per gli
eventi “il Giardino e la Dimora”.
Meta di quasi
tutte le festività, sebbene si trovi a un’ora di macchina dalla mia casa, l’ho
sempre immaginata come un luogo estremamente lontano, lontano dai rumori ,dalla
gente estranea ,dalla frenesia del quotidiano.
Mi aveva sempre
affascinato il susseguirsi di spazi prima stretti e poi a predita d’occhio fin
dal viaggio.
La mattina
presto,tutti belli carichi di provviste, i miei genitori ed io montavamo in
macchina per uscire della chiassosa e trafficata città. Per circa un’ora
guardavo il panorama verde,sebbene intervallato da obbrobri dell’era moderna,e
mi sembrava subito di essere in vacanza.
Non
appena leggevo il cartello con scritto “Bomarzo” mi riempivo di gioia,sebbene
l’entrata nel paese sia piuttosto angusta .Ancora mi chiedo come facciano le
macchine a passarvici. Dopo qualche gincana ecco che si riapriva un grande
viale davanti a me e il verde che si estendeva per tutta la vallata. Uno dei
divertimenti principali di mia zia è quello di cambiare sempre i colori delle
piante che accompagnano l’entrata alla casa,ogni volta una sorpresa.
Arrivata,certo
un po’ di ansia c’era nell’immaginare i miei simpatici cugini spaventarmi nel
lungo corridoio delle camere da letto o nel bosco o essere rincorsa e buttata
in piscina o essere chiusa nel salone superiore. Ma posso dire anche di avergli
dato più volte filo da torcere.
Molto spesso
capitava a e i mei cugini di andare in cerca di qualcosa,non si sapeva bene cosa,
l’importante era che facesse paura. Scendevamo giù per la vallata e ,contro le
ovvie raccomandazioni dei nostri genitori, entravamo nella piccola cappella
diroccata a prendere pietruzze e schifezze varie.
Innumerevoli sono le volte in cui ci sedavamo intorno all’obelisco che eravamo fermamente convinti essere tomba e dimora di qualche essere poiché, intorno ad esso, non mancavano massi con diverse incisioni.
Innumerevoli sono le volte in cui ci sedavamo intorno all’obelisco che eravamo fermamente convinti essere tomba e dimora di qualche essere poiché, intorno ad esso, non mancavano massi con diverse incisioni.
Chiamati per il pranzo trovavamo sempre un tavolo lunghissimo pieno di cibo poiché doveva bastare per una ventina di persone almeno.Il freddo non è mai mancato poiché riscaldare quella che un tempo erano le scuderie trasformate in una casa non è cosa facile.Seduti a tavola potevamo comunque vedere il paesaggio circostante dai due grandiportoni vetrati che sono alla fine dei saloni.
Appena
terminato il pranzo, correvamo al piano superiore in cui si trova un altro salone, diventato lo studio e ripostiglio dei nostri nonni, che trascorrevano lì
la giornata ,intrattenendosi con qualche schizzo del panorama fuori la grande
finestra. Tuttora, quando ci torno, mi diverto a rovistare e ad immaginare mio
nonno e mio zio guardarci dalla finestra. Impiegavamo molto tempo a rovistare
in quello che era diventato una sorta di magazzino e, stanchi, ci portavamo in
stanza i nostri ritrovamenti o ci mettevamo per terra davanti ad uno dei camini.
Solo ora mi
rendo conto che la scelta di prendere architettura non fu così improvvisa come
mi ostinavo a credere.
Capitava il più delle volte che io rubassi
schizzi, dipinti, piante, fotografie o documenti che mio nonno lasciava
incustoditi nel salone.
Ero, forse anche oggi, una bambina che metteva
le mani ovunque.
Posso dire che
questo momento di riflessione mi ha fatto capire quanto l’architettura sia
qualcosa che si può profondamente conoscere solo attraverso i sensi e mai a
livello teorico.
Toccare, tastare
guardare da vicino, rigirarsi o sentire
l’odore delle pareti: questi sono gli unici metodi conoscitivi che permettono
la vera acquisizione di un’immagine che si imprime attraverso i sensi.
Non mi è stato difficile ritrovare, in alcuni miei schizzi e progetti, note comuni al luogo del mio imprinting:
-L'alternarsi di spazi, prima stretti e poi subito ampi
-Diversi livelli di imposta del progetto
-Collegamenti naturali
-Percorsi panoramici
-Integrazione e collegamento diretto dell'edificio con il resto della città
-Capacità di dare spazio ed accogliere persone di ogni età
-Verde naturale concepito come oasi di ritrovo tra le attività locali
-La differenziazione delle funzioni abitative e lavorative attraverso differenti quote
-Percorsi identificati da molteplici colorazioni
Non mi è stato difficile ritrovare, in alcuni miei schizzi e progetti, note comuni al luogo del mio imprinting:
-L'alternarsi di spazi, prima stretti e poi subito ampi
-Diversi livelli di imposta del progetto
-Collegamenti naturali
-Percorsi panoramici
-Integrazione e collegamento diretto dell'edificio con il resto della città
-Capacità di dare spazio ed accogliere persone di ogni età
-Verde naturale concepito come oasi di ritrovo tra le attività locali
-La differenziazione delle funzioni abitative e lavorative attraverso differenti quote
-Percorsi identificati da molteplici colorazioni